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L’indagine geofisica è spesso utilizzata per creare mappe delle strutture archeologiche del sottosuolo. Gli strumenti geofisici possono rilevare le caratteristiche sepolte quando le loro proprietà fisiche contrastano in modo misurabile con l’ambiente circostante. In alcuni casi possono essere rilevati anche singoli manufatti, in particolare di metallo. I dati acquisiti, all’interno di un modello di acquisizione, diventano un insieme di dati che possono essere forniti come mappe di immagini. I risultati dell’indagine possono essere utilizzati per guidare gli scavi e per fornire agli archeologi una panoramica sulla distribuzione in situ dei manufatti ancora sepolti. A differenza di altri metodi archeologici, l’indagine geofisica non è né invasiva né distruttiva. Per questo motivo, è spesso utilizzata dove la conservazione (piuttosto che lo scavo) è l’obiettivo, e per evitare il disturbo di siti culturalmente sensibili come cimiteri.
I magnetometri, i misuratori di resistenza elettrica, i misuratori di conduttività a terra (GPR) e elettromagnetici (EM) sono i metodi geofisici più comunemente applicati nell’ambito archeologico. Questi metodi possono risolvere molti tipi di problematiche archeologiche e sono in grado di fornire indagini ad alta densità di dati in aree molto ampie e di operare in una vasta gamma di condizioni. I metodi geofisici utilizzati nell’archeologia sono normalmente adattati da quelli utilizzati nell’esplorazione mineraria, nell’ingegneria e nella geologia. La mappatura archeologica presenta tuttavia sfide uniche, che hanno stimolato uno sviluppo separato di metodi e attrezzature. In generale, le applicazioni geologiche riguardano l’individuazione di strutture relativamente grandi, spesso profonde. Al contrario, la maggior parte dei siti archeologici sono relativamente vicini alla superficie, spesso entro pochi metri. Gli strumenti sono spesso configurati per limitare la profondità di risposta per risolvere al meglio gli obiettivi superficiali che potrebbero essere di interesse. Un’altra sfida è quella di rilevare strutture sottili, spesso molto piccole e distinguerle da rocce, radici, e altri elementi “naturali”. Per realizzare questo, di solito si richiedono almeno decine di letture per metro quadrato.
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